Strage di Prato, la filiera assassina del commercio

Roma -

Strage a Prato, nell’incendio avvenuto stamane in una fabbrica tessile nell'area del Macrolotto. Al momento il bilancio provvisorio è di sette morti e di tre operai ustionati ed in condizioni disperate, tutti di nazionalità cinese. Nella fabbrica dormitorio una vittima è stata trovata in pigiama e per questo i vigili del fuoco continuano a cercare tra le macerie.

 

Altra cronaca di una strage annunciata, altra storia di schiavitù, di lavoratori a basso costo, costretti a dormire in una fabbrica all’interno di veri e propri loculi dove hanno trovato la morte, operai che lavorano anche quindici ora al giorno in assenza di qualsiasi tutela della salute e della sicurezza, per un salario da fame. Molti degli immigrati cinesi giungono in Italia affidandosi a trafficanti di esseri umani, i quali si dice abbiano costruito un mercato di operai cinesi specializzati nel settore tessile da inserire nelle fabbriche italiane che producono capi d'abbigliamento a Milano, Napoli e Prato.

 

Chi trova lavoro nelle industrie è spesso trattato come uno schiavo e costretto a lavorare in condizioni disumane. Alcuni edifici fatiscenti di Prato nascondono fabbriche illegali in cui gli operai cinesi sono costretti a orari di lavoro insostenibili. In caso di controllo della polizia una guardia avvisa chi sta dentro e gli immigrati vengono nascosti in seminterrati che sembrano celle. Sfruttamento al servizio dei pronto moda, merci piazzate agli ambulanti, alle catene distributive e aii grossisti.

 

Non da meno è la distorsione all’interno della filiera agro alimentare che crea sperequazione e aberrazioni tangibili con un sicuro beneficio economico solo per le multinazionali, mentre gli agricoltori hanno visto diminuire i loro margini al punto tale che sempre più spesso non gli conviene più raccogliere ad esempio la frutta, dal momento che il costo del lavoro della sola raccolta è già superiore per unità di prodotto al prezzo pagato loro dalle centrali di acquisto; il risultato finale è la comparsa di forme di caporalato che portano ai casi di Rosarno in Calabria o di Nardò in Puglia, dove migliaia di migranti sono resi schiavi negli agrumeti, carne da macello al prezzo di un euro l'ora.

 

Ma dove dove finiscono i vestiti «Cheap price», le arance, i pomodori, le bottiglie di aranciata, i barattoli di pelati? Prima di arrivare nei negozi dei centri commerciali e negli scaffali dei supermercati, questi prodotti vengono “movimentati” da lavoratori , soprattutto migranti, impiegati da aziende “cooperative” alle quali le catene della Grande Distribuzione Organizzata appaltano il lavoro nei propri magazzini. È il comparto della “logistica”. I lavoratori di queste cooperative (spesso false coop), non si vedono. Nell’ombra fanno funzionare la grande distribuzione, il problema è che nell’ombra succede di tutto: salari decuratati, zero diritti, zero sicurezza e chi sciopera viene licenziato.

 

Anello finale della filiera sono i lavoratori del commercio, precari e sottopagati. La forma contrattuale più usata nel commercio è quella part time, ma le multinazionali del commercio non ci dicono che il part-time non è quasi mai una libera scelta dei lavoratori ma è l’unica possibilità di assunzione. La probabilità di migliorare questa condizione è remota e spesso non passa attraverso il merito o l’anzianità, il risultato è un salario che si aggira sui 600 - 700 euro mensili. Può succedere che i part-time beneficino di incrementi dell’orario di lavoro, ma nessuno dice che si tratta di aumenti di ore contrattuali temporanei e discrezionali. La speranza di poter ottenere questi incrementi costituisce uno degli strumenti preferiti dalle aziende per mantenere sotto ricatto chi lavora. Ed è questa discrezionalità e ricattabilità che i lavoratori subiscono quotidianamente, questo clima diffuso che incide nella vita di relazione e sulla salute. Insomma altri schiavi moderni al soldo delle grandi multinazionali del commercio.

 

Una filiera di sfruttamento, caporalato, salari da fame, condizioni di salute e sicurezza da medioevo e morte, funzionale al modello sociale che ci vogliono imporre attraverso lo sfarzo e le luci dei Centri Commerciali. Questa aberrazione torna ai “disonori delle cronache” solo quando c’è una strage sul lavoro, come oggi, ma per il resto dell’anno resta nascosta nell’indifferenza dello Stato, che smantella la legislazione sul lavoro e depotenzia gli organi di controllo in nome della produttività, e nella complicità dei sindacati di palazzo che ormai chiudono entrambi gli occhi e pensano soltanto all’autoconservazione delle burocrazie sindacali.

 

USB esprime il suo cordoglio per le vittime di questa strage sul lavoro, la vicinanza ai feriti e ai familiari e continuerà a lottare per i diritti, il salario, la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro.