La Coop prepara la "mattanza" occupazionale negli Ipermercati di Roma e Aprilia

Roma -

Dal fallito tentativo di svendere l’esperienza cooperativa campana (fallito grazie all'opposizione dei lavoratori e all'USB), che ha comunque portato alla contrazione dei diritti dei lavoratori e alla cassa integrazione, passando per gli esuberi dichiarati a Viterbo che hanno portato  all’attivazione dei contratti di solidarietà,  Unicoop Tirreno prepara la mattanza occupazionale anche negli ipermercati romani e del basso Lazio dichiarando circa 75 esuberi.

 

Mentre i sindacati complici tacevano e trattavano gli esuberi in albergo (l'incontro azienda-sindacati si è tenuto il 21 novembre, presso l’Hotel Metropole a Roma),  USB Commercio denunciava la gravità della crisi e la subalternità di queste organizzazioni sindacali che ormai hanno come esclusivo interesse la sopravvivenza dei propri apparati burocratici e per arrivare allo scopo svendono diritti e salario dei lavoratori al pari dei padroni.

 

 

Ma chi paga la crisi e le incapacità manageriali dei dirigenti Coop? Come si giustifica, mentre si approvano sacrifici ai lavoratori come i contratti di solidarietà (nel Lazio), e la decurtazione contrattuale delle ore di lavoro e la cassa integrazione (in Campania), il ricorso in alcuni periodi al lavoro interinale e l’impossibilità dei lavoratori di usufruire di ferie e permessi quando ne hanno la necessità? Come si giustificano, sempre in questo scenario drammatico, gli straordinari e le continue richieste di plus-orario "a tappabuco"? Ma soprattutto, come può essere accettato (dai sindacati complici) questo grande sacrificio collettivo nel mentre che gli alti dirigenti aziendali, responsabili di questo scempio, non contribuiscono neanche con mezzo centesimo delle loro buste paga? Come si fa a chiedere sforzi così pesanti a lavoratori da 600/800/1000 euro al mese, nel mentre c'è chi nella stessa azienda guadagna anche dieci volte tanto e non dà alcun segnale concreto di solidarietà?

 

Le Coop della grande distribuzione hanno privilegi che non hanno le aziende concorrenti. Il "prestito sociale" delle Cooperative è un deposito, sotto forma di libretto, che i soci Coop utilizzano sia come "bancomat", all'interno dei punti vendita, sia come forma di impiego dei propri risparmi. I portatori dei "libretti" Coop sono dunque creditori di una società commerciale in grado, attraverso tale sistema, di poter contare su una riserva di liquidità enorme (oltre che molto conveniente), che viene poi magari reinvestita a tassi anche maggiori, con relativi profitti. Un articolo molto dettagliato del Fatto quotidiano di qualche tempo fa descriveva con dovizia di particolari l'articolato e discutibile sistema finanziario delle nove grandi cooperative di consumo. Il titolo shock, "Coop, gli oligarchi rossi che giocano in Borsa con i soldi dei soci", rende pienamente l'idea della mutazione genetica compiuta negli anni da un sistema d'impresa nato per avviare la "pratica dell'acquisto collettivo" e per assicurare alle cooperative di consumatori migliori garanzie e condizioni nell'approvvigionamento dei prodotti a vantaggio dei propri soci e lavoratori. Le discutibili dinamiche finanziarie, sviscerate dal "Fatto Quotidiano", le avevamo portate all'attenzione dell'opinione pubblica in occasione del convegno "LE MANI SULLA COOP" tenutosi a Napoli il 07 febbraio 2013, anche attraverso il contributo di Mario Frau, ex manager Novacoop e autore del libro "La Coop non sei tu", che individua "i 5 pilastri” che consentono alle Coop di occupare enormi spazi economici nel paese. In merito ai dirigenti della cooperazione, Frau parla di “gerontocrazia” e “casta di intoccabili”.

 

Il 29 dicembre 2012 è il Sole 24 Ore a pronunciarsi sulla situazione finanziaria dell’azienda con un articolo dal titolo “Quel triangolo di Unicoop Tirreno tra pegni e derivati”, in cui si parla di “circolo vizioso di Unicoop Tirreno (raccolgo prestiti, investo in titoli, chiedo la garanzia per avere più prestiti, metto a pegno i titoli comprati con i prestiti) che di fatto attua un’onerosa segregazione patrimoniale. L’impressione – continua l’articolo – è che nella Coop i criteri posti a presidio della dichiarata gestione oculata siano molto elastici e troppo permissivi”. Riprendendo pari pari il titolo di uno dei capitoli del già citato libro di Mario Frau, possiamo tranquillamente dire che “Le Coop sono diventate delle banche”. E come tutte le banche, utilizzano la loro forza anche nei confronti dei poteri che governano i territori.

 

Altro privilegio di non poco conto è la tassazione agevolata. La nostra Carta costituzionale riserva alle cooperative un particolare trattamento, esaltandone la specificità e la distintività rispetto alle imprese capitalistiche, riconoscendo alle prime una funzione di carattere sociale e alle seconde la finalità esclusiva del profitto. Dal sito Legacoop Emilia Romagna: “La cooperativa presenta vantaggi fiscali in caso di reddito fiscalmente imponibile. Le agevolazioni fiscali sono strettamente connesse alla tipologia di cooperativa”. Il concetto di mutualità nasce storicamente dall'esigenza dei gruppi sociali economicamente più deboli di emanciparsi socialmente ed economicamente attraverso l'unione solidale e mediante l'eliminazione del profitto speculativo degli intermediari della catena distributiva, con la finalità di ridistribuire il risparmio fra i soci sotto forma di maggior remunerazione dei servizi e beni da essi forniti (cooperative di produzione e lavoro) oppure in termini di minor costo dei beni e servizi offerti ai soci (cooperative di consumo e di utenza). Si può tranquillamente affermare che molti dei principi e delle finalità sopra esposti si richiamano ai concetti che furono alla base della costituzione della primigenia cooperativa, dei quali però si fa molto fatica a trovare riscontri nel modo di essere e di operare delle grandi cooperative italiane, essendo in atto da alcuni anni un processo di omologazione, nei comportamenti, alle altre grandi imprese di capitale con le quali competono per accaparrarsi le quote di mercato e per realizzare il profitto e l’arricchimento, mantenendo però inalterato il privilegio fiscale.

 

Unicoop Tirreno ha costruito un impero economico, oltre a gestire direttamente il canale dei supermercati e dei superstore a insegna "Coop", i minimercati ad insegna "InCoop" e gli ipermercati a insegna "Ipercoop" in Toscana e nel Lazio, possiede (al 100%): Ipercoop Tirreno Spa (società che gestisce i negozi Coop e Ipercoop della Campania), Axis Srl (società immobiliare campana), Vignale Comunicazioni (società editrice di alcune riviste e che gestisce gli spazi espositivi nei centri commerciali), Sogefin Srl (gestisce partecipazioni in società del movimento cooperativo), Il Paduletto srl (società immobiliare toscana), Holmo del Tirreno Spa (società che gestisce la partecipazione in Finsoe, che a sua volta controlla il 50% di Unipol Gruppo Finanziario Spa). Al 50% invece detiene: Immobiliare Sviluppo per la Logistica Srl (società immobiliare proprietaria delle piattaforme logistiche), Immobiliare Sviluppo della Cooperazione Spa (joint venture immobiliare con la Cooperativa Lavoratori delle Costruzioni CLC di Livorno), Levante Srl (joint venture con Unicoop Firenze per la gestione dell’area del livornese del “Nuovo Centro” dove verrà costruito un centro commerciale con superstore). Di rilievo è il controllo che Unicoop Tirreno detiene (insieme a Coop Adriatica) di IGD (Immobiliare Grande Distribuzione), società quotata in Borsa che sviluppa e gestisce centri commerciali in Italia e Romania. In aggiunta a tutto questo, c’è ovviamente anche il prestito sociale (i soldi dei soci sui libretti Coop, che l’azienda/banca non tiene certo fermi lì a marcire), che ammonta ad oltre un miliardo di euro. E' facile evincere che la mole di questo "IMPERO" stona parecchio con l’annunciata crisi aziendale e il conseguente ricorso agli ammortizzatori sociali.

 

Mentre le nove grandi cooperative di distribuzione (tra le quali appunto Unicoop Tirreno), sono concentrate più sulla finanza che sull'impresa, quello che ci preme sottolineare è l'evidenza che lo scambio sociale che il sistema cooperativo illusoriamente promette ormai non regge più. Il modello di sviluppo dell'impresa cooperativa è ormai tarato sui nuovi standard del mercato del lavoro e le tante vertenze aperte stanno lì a testimoniarlo. Le vertenze degli stessi lavoratori Coop: sul salario, sull'abbattimento della precarietà, sulla possibilità di passare dal part-time al tempo pieno, sul contenimento della discrezionalità delle direzioni, sulla contrattazione dei tempi e dei turni, e, non ultimo, sulla libertà di parola e di critica e sulla democrazia sindacale; ma anche quelle dell’indotto, come ad esempio i facchini Granarolo che lottano per un salario onesto e un trattamento dignitoso.

 

Ora non resta che domandarci qual è il ruolo dei "sindacati di palazzo”, quei sindacati che alla Coop usufruiscono di distacchi e agibilità abnormi (che non vengono intaccati dalla crisi), e quindi avrebbero tutte le potenzialità per contrapporre una resistenza degna a questi attacchi. Il ruolo che svolgono non è altro che quello di semplici ratificatori di accordi capestro spacciati per “il massimo che si poteva ottenere”. Le organizzazioni sindacali “complici” rinunciano a qualsiasi prospettiva di conflitto in favore di un sistema di relazioni con le cooperative che ormai è un rapporto di tutela di reciproci interessi.

 

Le risposte alle domande iniziali sono abbastanza semplici, la crisi e le incapacità manageriali le pagano i lavoratori, come sempre, tutto il resto si giustifica con la complicità del "sindacato di palazzo" che omette qualsiasi forma di controllo sull’uso del lavoro interinale, sugli straordinari, sulla fruizione di ferie e permessi, sul rispetto delle norme in materia di orari e chi più ne ha più ne metta.

 

Noi respingiamo al mittente questa logica e ci prepariamo a rilanciare le mobilitazioni per il salario e l’occupazione sicuri che i lavoratori, se vengono messi in condizione di scegliersi il proprio futuro, non si rassegnano alla politica della riduzione del danno ma hanno le qualità, l’energia e la determinazione per affrontare un percorso di lotta tesa alla salvaguardia dei diritti e del salario ed in grado di rigettare al mittente i piani industriali fatti sulla carne di chi lavora.